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ROMA, 7 FEBBRAIO 2012 – Seconda ed ultima parte del viaggio nella genìa camorristica di Cosa Nuova. Nella precedente puntata (a fondo pagina i link per le puntate precedenti) siamo partiti dalla “Bella società riformata” per fermarci nel pieno della guerra tra i cutoliani e il cartello della Nuova Famiglia. Mentre a Napoli, a Caserta e nelle altre città campane si sparava, a Roma piano piano si formava un clan il cui potere è ancora intatto, nonostante gli arresti del 2009 che l'hanno di fatto decapitato. È questa la storia del clan Senese.
Michele Senese (nella foto, al centro) – detto anche lui, come Zaza, “'O Pazzo” - durante la prima guerra di camorra fa il killer. Nel 1982 molti collaboratori di giustizia assoceranno il suo nome ad almeno tre omicidi: quello di Alfonso Capatano, ucciso a Nola a gennaio e quelli di Raffaele e Vincenzo Ferrara a Casoria nel mese di settembre.
Senese aveva iniziato qualche anno prima con le rapine, insieme al cognato Antonio Gaglione, appartenente ai clan dell'area di Caivano-Marcianise, Antonio Balsamo e Gennaro Tuccillo.[MORE]
Il primo a mettere gli occhi addosso al gruppo è il clan Moccia, appartenente alla galassia della Nuova Famiglia che oggi, sotto la guida di Anna Mazza, controlla la zona nord-est di Napoli, tra cui la famigerata piazza di spaccio di Parco Verde (di cui vi parlavamo a settembre).
Senese nel clan fa presto carriera, tanto da potersi presto sedere allo stesso tavolo con boss del calibro di Carmine Alfieri, Pasquale Galasso e Angelo Moccia (di cui Senese è uomo di fiducia). Sono proprio questi a mandarlo a Roma, insieme al suo gruppo, alla ricerca di Enzo Casillo.
È a questo punto che “'O Pazzo” inizia a frequentare sempre di più la capitale, tanto da insediarvisi definitivamente sul finire degli anni Ottanta, quando agli omicidi ed all'attività estorsiva – pratiche da “manovalanza” - aggiunge quelli che diventeranno i suoi passatempi preferiti, cioè traffico internazionale di stupefacenti (hashish e cocaina in particolare), gestione del gioco d'azzardo, acquisto di attività commerciali come strumento di reimpiego dei capitali illeciti e controllo del banco dei pegni. Di lì a qualche anno – anche con l'ausilio dei grandi importatori come il clan Gallo o quello degli Abate – non c'è grammo di droga a Roma che non sia passato prima tra le mani del gruppo di Senese.
Più aumenta il potere, per i Senese, più si avvicina anche per loro il “battesimo della faida”, che avviene nel 1996, quando Michele Senese decide di appoggiare il clan dei Belforte (appartenenti alla galassia dei Casalesi) nella guerra con i Piccolo per il controllo dell'area di Marcianise, nel casertano.
Senese, che a questo punto ha maturato già un corposo curriculum criminale, inizia a soggiornare sempre più spesso nelle patrie galere, anche se questo non gli impedirà di continuare a comandare sul suo clan, diventato ormai lo snodo centrale dei rapporti camorristici sull'asse campano-laziale con notevoli conoscenze anche nell'ambito siciliano e calabrese, né – memore forse dell'insegnamento cutoliano – di reclutare nuovi affiliati in carcere.
L'ultima volta che gli inquirenti gli mettono le manette ai polsi è il 2009. Su di lui la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha un corposo dossier composto di ben 1500 pagine (tante sono, infatti, le pagine che compongono la richiesta di custodia cautelare) che vanno a formare la base per la condanna a diciassette anni di carcere per traffico di droga.
Sono in molti a pensare che sia proprio a questo punto che bisogna cercare le basi per la guerra di mafie che sta insanguinando le strade della capitale in questi mesi. Con l'arresto, infatti, crolla un sistema di potere consolidatosi negli anni e che, naturalmente, deve essere riempito – ed ereditato – da qualcuno. L'omicidio di Paolo Marcoccia detto “Somarello”, ben noto sodale di Senese, avvenuto agli inizi dello scorso novembre andrebbe letto proprio come un regolamento di conti nell'ambito del riequilibrio criminale.
Oggi il boss è un uomo malato, almeno secondo la tesi difensiva. Soffre di ansia, ritardo mentale, disturbo antisociale e depressione e, per questo, è detenuto in una lussuosa clinica sulla Nomentana in cui è libero di girare come meglio crede e dove, come dimostrato da Alfredo Di Giovampaolo, giornalista d'inchiesta del Tgr del Lazio, dato lo scarsissimo livello di sorveglianza potrebbe tranquillamente continuare a ricevere i propri sodali, dando l'impressione di essere – più che in stato detentivo – in una sorta di “buen retiro”. Se non proprio in uno stato di protezione.
Gli interessi della camorra, nel Lazio, non si fermano solo alla capitale. Container carichi di abiti contraffatti provenienti dalla Cina sbarcano nel porto di Civitavecchia per poi inondare il territorio attraverso gli innumerevoli capannoni che contraddistinguono il paesaggio della periferia. E poi il business legato a frutta e verdura, con il mercato ortofrutticolo di Fondi ormai da anni al centro degli interessi dei clan (e degli inquirenti che gli danno la caccia), e poi bar, ristoranti, agenzie turistiche, centri commerciali, strade, metropolitane che hanno visto seguire ai Cutolo e ai Nuvoletta i nuovi signori della camorra come gli Schiavone o i Di Lauro e che, con ogni probabilità, vedranno a questi sostituirsi i nuovi capi-clan, da mesi in lotta – come nella zona nord di Napoli - per la spartizione del “brand” targato camorra.
parte 1: Roma, finita la pax di "Cosa Nuova"? (4 febbraio)
parte 2: Roma, aperto il "laboratorio Cosa Nuova". Dagli anni Settanta (5 febbraio)
parte 3: Diplomazia criminale firmato Cosa Nuova (5 febbraio)
parte 4: Cosa Nuova. Canta Napoli e Roma risponde (col botto) (6 febbraio)
(foto:blog.panorama.it)
(5 - Continua)
Andrea Intonti